È forse il colore che più spicca per vivacità all'interno del dipinto. La scatola in primo piano, disegnata obliquamente, possiede due triangoli, nuovamente, in contrasto di complementari, il verde e il rosso. Il giallo che colora uno degli spicchi della sua parte superiore è la parte più luminosa del dipinto. L'illuminazione netta e intensa, come in tutte le opere metafisiche, arriva da destra e segna profonde ombre ritagliate sul palcoscenico verso sinistra. Lo spazio. Prospettive geometriche inquietanti Lo spazio fisico è descritto da Giorgio De Chirico, prima di tutto, come la fuga delle assi del palcoscenico che corrono verso il fondo e si incontrano in un punto che si trova a metà tra le due torri centrali del castello di Ferrara. Nonostante la forte geometrizzazione dello spazio le scatole possiedono fughe prospettiche diverse. In realtà sono rappresentate con prospettive assonometriche diversamente la prospettiva centrale utilizzata per il palcoscenico. Anche il castello e la fabbrica possiedono una certa fisicità geometrica, se pure limitata allo sfondo del dipinto.
Ricordano la vita dopo che essa � passata e ha lasciato come traccia solo delle forme vuote. Il tema non � ovviamente la morte come fine della vita, ma quella eternit� immobile e misteriosa che va oltre l�apparenza delle cose. La vita � continua modifica nel tempo: osservare questa dinamica � capire le leggi fisiche che regolano l�universo. Ma lo sguardo di De Chirico va oltre: vuol cogliere quel mistero insondabile che si nasconde dietro la conoscenza delle leggi fisiche. Quel mistero che ci porta ad interrogarci sul senso ultimo delle cose e sul perch� della loro esistenza. La scena del quadro � una piazza: essa tuttavia al posto della pavimentazione ha delle assi di legno che ci ricordano pi� l�immagine di un palco che di una piazza urbana. Sullo sfondo appare a destra il castello estense di Ferrara, sulla sinistra vi � invece una fabbrica con delle alte ciminiere. Esse rappresentano la polarit� antico-moderno, ma entrambi gli edifici appaiono vuoti ed inutilizzati: il castello ha le finestre buie, segno che non � abitato, mentre la fabbrica ha ciminiere che non fumano, segno che in realt� non vi si svolge alcuna funzione lavorativa.
Gli oggetti sono totalmente incongrui rispetto al contesto e vengono rappresentati con una minuzia ossessiva, una definizione tanto precisa da sortire un effetto contrario a quello del realismo. In fondo, vediamo una terza statua maschile. Sullo sfondo appare a destra il Castello Estense di Ferrara, città dove nacque la pittura metafisica, teatro del cruciale incontro di De Chirico con Carlo Carrà, che darà luogo a fondamentali riflessioni estetiche. Mentre sulla sinistra del dipinto intravediamo una fabbrica rappresentata da alte ciminiere. Possiamo notare che il castello è disabitato e le finestre sono buie, mentre la fabbrica ha le ciminiere che non fumano, segno che in realtà non vi si svolge alcuna attività lavorativa al suo interno. Nell'opera tutto è silenzio e inquietudine. Il clima di angoscia e di disperazione lo si percepisce anche dalle figure senza occhi e dai loro volti prosciugati: destando l'immediata impressione di un silenzio stupefatto e lacerante. Secondo i critici di quel tempo, la "disumanità" de " Le Muse Inquietanti " ci riporta ad un'umanità arcaica e originaria, veggente, eroica, abitatrice di tempi lontani e misteriosi e, in questo senso, disumana.
È un elemento che ci riconduce naturalmente all'infanzia del pittore, vissuta in Grecia. La cultura greca classica ha dato a tutta l'attività pittorica di De Chirico, una continua ispirazione, sia poetica che formale, soprattutto quando il pittore abbandonò lo stile metafisico durante la maturità. L'altro manichino, seduto in secondo piano, ha la testa separata e deposta ai suoi piedi che ricorda quelle maschere africane fonte d'ispirazione per artisti come Pablo Picasso, appartenenti all'ambiente parigino di inizio secolo. La testa così staccata e appoggiata a terra diventa la traccia di quella modernità stilistica che De Chirico ha sempre rifiutato. Giorgio de Chirico al lavoro Il dipinto di De Chirico non è interessante solo dal punto di vista compositivo, ma nasconde linguaggi velati molto importanti. Abbiamo visto come gli oggetti e le strutture sembrino delle forme vuote, ciò che resta della vita dopo il suo passaggio. Il tema del dipinto però non è la morte come termine della vita, ma quell'eternità fissa e misteriosa che va oltre l'apparenza delle cose.
Forse, essi sono anche gli emblemi di stati d'animo melanconici, di una solitudine eroica ed epica; forse simboleggiano un'umanità che rischia di disumanizzarsi. Lo lasciò intuire l'artista medesimo, quando scrisse, nel 1942: «Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l'aspetto dell'uomo, ma senza il lato movimento e vita; il manichino è profondamente non vivo e questa sua mancanza di vita ci respinge e ce lo rende odioso. Il suo aspetto umano e nello stesso tempo mostruoso, ci fa paura e ci irrita. Quando un uomo sensibile guarda un manichino egli dovrebbe essere preso dal desiderio frenetico di compiere grandi azioni, di provare agli altri ed a se stesso di che cosa è capace e di dimostrare chiaramente ed una volta per sempre che il manichino è una calunnia dell'uomo e che noi, dopo tutto, non siamo una cosa tanto insignificante che un oggetto qualunque possa assomigliarci». Giorgio de Chirico, Il Grande Metafisico, 1917. Olio su tela, 104, 5 x 69, 8 cm. New York, The Museum of Modern Art (MoMA).
L'artista metafisico si avvale pertanto di un linguaggio nuovo e a-logico, crea costantemente un clima di magia silenziosa, priva di dramma e di azione, e nelle sue opere ricerca il meraviglioso che affiora nel quotidiano. L' enigma, il mistero, lo spaesamento sono i veri protagonisti della sua pittura. Il repertorio figurativo della Metafisica costituisce, insomma, un universo simbolico da interpretare, dove gli oggetti, accostati in maniera insolita, sono la chiave per risolvere l'enigma. I manichini A partire dal 1915, de Chirico popolò i suoi dipinti di figure solenni, monumentali e molto plastiche, simili a manichini, che via via definiva nel titolo con termini diversi: "pensatori", "vaticinatori" (ossia indovini), "filosofi", "saggi". I manichini di de Chirico, evocativi e misteriosi, essendo privi di occhi, orecchie e bocca, evocano l'impossibilità di vedere, udire e parlare. Tuttavia, ricordando i poeti e gli indovini della mitologia classica, richiamano anche la capacità superiore di indagare la realtà oltre la sua apparenza fenomenica.